Lapislazzuli, il blu più prezioso dell’arte

Il curioso nome di questa pietra deriva dal latino lapis, pietra, e lazulum, blu o celeste, che deriva probabilmente a sua volta dal persiano “lazhuward”.

Quella del lapislazzuli è una storia molto antica, che comincia più di 7000 anni fa nella cornice dell’antica civiltà mesopotamica dei Sumeri, come testimoniano citazioni nel poema epico Gilgamesh, nonché i ritrovamenti delle tombe reali nell’antica città di Ur, contenenti statuette e vasellame in lapislazzuli. Anche gli Egizi amavano la gemma e la consideravano addirittura portatrice di una forza divina, infatti era utilizzata nei gioielli ritrovati nelle tombe di faraoni egiziani e per la decorazione delle maschere funerarie, come quella dello stesso Tutankhamon.

Composizione e caratteristiche

Il lapislazzuli è prevalentemente di colore azzurro intenso, ma può tendere anche verso il celeste, a seconda del livello di concentrazione di calcite, che ne determina le striature bianche. Del colore blu è invece responsabile la lazurite, componente più abbondante all’interno della gemma, che presenta anche delle venature dorate di pirite.

Il colore più bello e ricercato è di certo il blu reale uniforme, mentre difformità di colore e sfumature verdi influenzano negativamente il valore del lapislazzuli.

La pietra si trova in giacimenti abbastanza rari e localizzati in Cina, Cile e Russia. Ma la vera patria di queste pietre blu intenso è l’Afghanistan e, in particolare, le viscere delle montagne del Badakshan, zona nord-orientale del paese. Si tratta probabilmente della miniera di lapislazzuli più antica del mondo, da lì infatti provenivano le pietre che decoravano monili e oggetti preziosi sumeri ed egizi. Lo stesso Marco Polo nel XIII secolo durante il suo viaggio descriveva quelle montagne, “dove si trovano i lapislazzuli più belli del mondo”.

Il lapislazzuli nell’arte

La bellezza del suo blu intenso ha fatto della pietra anche un materiale straordinario da utilizzare in campo artistico.

È indiscussa la sua fortuna nel campo della gioielleria: non difficile da tagliare, l’unico limite era dato dalla fantasia di chi lavorava la pietra. Tra le creazioni spiccano i vasi e le coppe appartenute ai Medici.

Ma forse ancora più interessante è l’impiego che la storia dell’arte già dal Medioevo fa del lapislazzuli in dipinti e affreschi. Macinando le pietre infatti si otteneva un colore molto brillante, chiamato “oltremare” e definito nei trattati di pittura quattrocenteschi il più perfetto dei colori. Utilizzato per il manto delle Madonne e i drappi barocchi, colore iconografico della Santa Vergine, colore simbolico dei reali di Francia, colore della moda: già dalla fine del Medioevo l’oltremare diventa il blu per antonomasia, il più nobile e ricercato.

Per la rarità della pietra e il numero esiguo dei suoi giacimenti, il lapislazzuli era importato in Europa quasi esclusivamente dai mercanti veneziani e il suo costo era paragonabile a quello dell’oro. Ciononostante era la pietra più richiesta, proprio perché capace di restituire un colore brillante e resistente. Molti pittori tuttavia si dovettero abbassare ad utilizzarne solo alcuni pigmenti, su una base di colore meno pregiato, ma non Tiziano, che si dice non si abbassò mai ad utilizzare nient’altro se non il colore puro.

Nel I. secolo d. C. lo storico romano Plinio il Vecchio descrive il lapislazzuli come “un frammento della volta stellata del cielo”. Anche al mondo dell’arte non sembra sfuggire questa somiglianza: il cielo degli affreschi di Giotto della Cappella degli Scrovegni e quello della Cappella Sistina affrescata da Michelangelo spiccano per la profondità e il realismo del colore proprio grazie all’uso di tale preziosa pietra.

Se fino al Seicento inoltrato il modo migliore per fissare la natura sembrava essere l’immutabile colore del lapislazzuli, nei secoli successivi, a causa della penuria di giacimenti, la pietra è sempre meno utilizzata. È nell’Ottocento che il chimico francese Tassaert riesce a creare un pigmento sintetico praticamente uguale.

Il blu riacquista il suo ruolo decorativo ma anche trascendente nell’arte contemporanea, in particolare con Yves Klein che nel 1956 crea il celebre International Klein Blue (“IKB”), mescolando il pigmento artificiale a una resina industriale. L’artista omaggia così il prezioso colore dei cieli di Giotto.

 

fonte immagine: museoguide.it